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lunedì 8 ottobre 2012

fnac italia potrebbe chiudere

MILANO - Fnac, ovvero «Finché Non Avremo Chiarezza»: con questo slogan, venerdì mattina, le lavoratrici e dei lavoratori Fnac, catena francese di libri e multimedia, hanno incrociato le braccia per una giornata di protesta in tutte le sedi italiane e anche in quella milanese di via Torino angolo via della Palla. Le organizzazioni sindacali Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs Uil hanno proclamato lo sciopero con l'obiettivo di evidenziare la grave situazione in cui stanno vivendo le lavoratrici e i lavoratori. «Da quasi un anno dalla lettera dell'amministratore delegato del gruppo, che dichiarava l'insostenibilità della gestione italiana e l'avvio di una riflessione per individuare una soluzione, regna il silenzio. I termini si avvicinano e se entro il 31 dicembre prossimo non si troveranno acquirenti disposti a subentrare nella gestione, tutti i punti vendita rischiano la chiusura», ricorda la Filcams Cgil.
IL GRUPPO - Fnac fa parte del Gruppo Ppr del magnate François-Henri Pinault, che detiene tra gli altri Gucci, Bottega Veneta, Girard-Perregaux e Boucheron; in Italia ha 8 negozi - Roma, Napoli, Firenze, Torino, Milano, Genova e Verona - e circa 600 dipendenti - 150 solo a Milano - di età compresa tra i 30 e i 35 anni. Già durante la Settimana della Moda i giovani lavoratori di Fnac avevano protestato a Milano, in piazza San Carlo durante la Vogue fashion night out (ribattezzata «Fnac fashion nightmare») e durante la sfilate, subito bloccati dalla Digos, con lo slogan «Tenetevi il lusso, lasciateci il lavoro».
LA PAURA DEI DIPENDENTI - L'organico milanese è già sceso di circa 50 persone tra dimissioni e contratti a termine non rinnovati, nonostante un codice etico aziendale sulla carta ferreo. Oltre il 90% dei rapporti di lavoro è a tempo indeterminato. In questi giorni per loro è difficile anche il rapporto con il cliente: «L'azienda ci chiede di non parlare con nessuno dei problemi, mentre tutti ci domandano se chiuderemo o no. Di certo c’è che nessuno pensa al nostro lavoro. Otto mesi di silenzio sono troppi, vogliamo sapere del nostro destino, non possiamo vivere nell’incertezza».

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